Nuovo modello di Alzheimer e studio sulla curcumina
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 20 gennaio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO E
RECENSIONE]
La malattia di Alzheimer,
caratterizzata fin dalla prima descrizione del suo scopritore in base al
rilievo istopatologico di placche amiloidi extracellulari e aggregati
neurofibrillari intraneuronici, può anche essere descritta come una tauopatia. Secondo tale criterio, la più
grave forma di demenza neurodegenerativa che costituisce un flagello per la
popolazione di età avanzata in tutto il mondo, può considerarsi la più comune
tauopatia osservata in clinica neurologica. L’accumulo extracellulare di
peptidi β-amiloidi tossici (βA), all’origine della formazione delle
placche, si associa nella maggior parte dei casi ad accumulo intraneuronico
della proteina tau iperfosforilata. Mentre la patologia associata con la forma
4R (4-repeat) della tau è prevalente
in malattie quali la degenerazione
corticobasale e la paralisi
sopranucleare progressiva, nella malattia di Alzheimer si accumulano in
modo significativo, sia l’isoforma 3R sia la 4R.
Molti studi hanno indagato le
interazioni tra βA e tau 4R in topi transgenici doppi, ma solo pochi hanno
tentato di comprendere l’influenza dei peptidi βA sulla tau 3R. Arner e
colleghi, per colmare questa lacuna, hanno realizzato una nuova linea bigenica
di topi esprimenti l’isoforma 3R, ottenendo un nuovo modello di neuropatologia
alzheimeriana.
(Arner A., et al., Increased
vulnerability of the Hippocampus in Transgenic Mice Overexpressing APP and
Triple Repeat Tau. Journal of Alzheimer’s
Disease – 61 (3): 1201-1219, 2018).
La provenienza degli autori
è la seguente: Department of Neuroscience, University of California San Diego,
La Jolla, California (USA); Department of Pathology, University of California
San Diego, La Jolla, California (USA); Veterans Affairs, San Diego Healthcare
System, San Diego, California (USA).
Arner e colleghi del Dipartimento di
Neuroscienze dell’Università della California di San Diego a La Jolla hanno
incrociato una loro linea mutante, APP751, con un modello di tau 3R mutante da
loro recentemente caratterizzato, per creare una linea bigenica (hAPP-3RTau)
quale nuovo modello neuropatologico sperimentale della malattia di Alzheimer
umana.
I ricercatori hanno studiato la nuova linea, comparandola con topi 3RTau e con un gruppo di roditori di controllo a genotipo naturale. Gli animali sono stati esaminati sia da un punto di vista patologico sia nella fenomenica comportamentale, a 3 mesi e a 6 mesi di età. Paragonati ai topi non transgenici, tanto gli esemplari 3RTau, quanto quelli hAPP-3Rtau, presentavano perdita di neuroni, accresciuta aggregazione della proteina tau, formazione di placche βA e vari deficit cognitivo-comportamentali; ma i topi bigenici, in particolare, mostravano spesso una maggiore gravità per ciascuno di questi aspetti. I ricercatori hanno poi rilevato che, anche negli animali più giovani, la presenza di APP/βA aumentava l’accumulo di 3R tau nella neocorteccia e nell’ippocampo. A questo rilievo si associava l’attivazione di GSK3 e la neurodegenerazione nella neocorteccia e nella regione ippocampale CA1.
Questi risultati suggeriscono che, oltre alla 4R tau, APP/βA può anche accrescere l’accumulo di 3R tau, un processo che può essere direttamente rilevante per le vie patogenetiche della malattia di Alzheimer nella realtà clinica.
I risultati della sperimentazione dimostrano che questo nuovo modello bigenico ricalca molto da vicino il decorso della patologia della malattia di Alzheimer e, dunque, può essere adottato, accanto ai modelli sperimentali già in uso, anche per la valutazione di laboratorio delle numerose molecole proposte quali nuovi agenti terapeutici per una malattia che, nonostante decenni di intenso lavoro sperimentale, rimane inguaribile.
Nel campo delle prospettive terapeutiche, recentemente è stata avanzata l’ipotesi che la curcumina, una spezia tipica della cucina indiana, possa agire contrastando la tossicità da βA che ha grande importanza nella patogenesi della malattia di Alzheimer. Si comprende, al riguardo, il prudente scetticismo di molti ricercatori che, nell’ultimo decennio, hanno assistito alla tendenza, non sempre giustificata da solide ragioni sperimentali, a impiegare prodotti naturali quali il gingko biloba, lo zenzero (ginger) e la curcumina alla stregua di alimenti o come integratori della dieta per trattare un ampio spettro di patologie umane, quali le neoplasie, il diabete, l’obesità, le malattie cardiovascolari, respiratorie, infettive, neurodegenerative ed altre sindromi neurologiche. Indubbiamente, sono numerosi i principi attivi di origine vegetale che svolgono effetti bioprotettivi, quali azioni anti-infiammatorie, anti-artritiche, pro-riparative, anti-ossidanti e in grado di migliorare le prestazioni di memoria; ma le proprietà di ciascun composto richiedono attente analisi e verifiche sperimentali, prima che si possa certificarne una reale efficacia, scevra da effetti tossici o indesiderati, nelle condizioni cliniche in cui si intende impiegarli in qualità di farmaci.
Nell’ultima decade, vari gruppi di ricerca hanno studiato e sintetizzato la curcumina e i suoi derivati, valutandone gli effetti su sistemi cellulari in vitro o su modelli murini di malattia di Alzheimer.
(Hemachandra Reddy P., et al.,
Protective Effects of Indian Spice Curcumin Against Amyloid-β in
Alzheimer’s Disease. Journal of
Alzheimer’s Disease – 61 (3): 843-866,
2018).
La provenienza degli autori
è la seguente: Garrison Institute on Aging, Department of Cell Biology and
Biochemistry, Department of Neurology, Department of Pharmacology and
Neuroscience, Department of Internal Medicine, Texas Tech University Health
Science Center, Lubbock, Texas (USA); Department of Biotechnology and
Bioinformatics, Sri Guru Gobind Singh College, Chandigarh (India).
La curcumina chimicamente è un composto di formula bruta C21H20O6 denominato diferuloilmetano, che si estrae dalla Curcuma longa, pianta erbacea perenne rizomatosa della famiglia delle Zingiberacee originaria dell’Asia sud-orientale. La sostanza estratta appare come un solido cristallino di tinta gialla-arancione, simile allo zafferano e, come questo, utilizzata per dare colore agli alimenti[1]. La cucina indiana da tempo immemorabile ne fa uso come spezia – si pensi al curry – e per rendere più gradevole l’aspetto delle pietanze[2]. Come colorante alimentare è indicata con la sigla E100 in Europa[3]; in qualità di integratore alimentare ha ottenuto l’approvazione dell’FDA[4].
Recentemente è stato dimostrato che la curcumina previene l’aggregazione delle molecole βA e, soprattutto, è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica (BEE) così da poter esercitare efficacemente in vivo l’effetto antiaggregante. Alcuni esperimenti hanno rilevato che la curcumina può raggiungere le cellule cerebrali e proteggere, in particolare i neuroni, da vari insulti tossici, inclusi quelli associati all’invecchiamento e alle molecole βA. Altre ricerche condotte con modelli murini di malattia di Alzheimer hanno dimostrato che la curcumina è in grado di rallentare il declino cognitivo e migliorare in generale la funzione sinaptica cerebrale in reti cruciali per i processi cognitivi. Più recentemente, sono state avviate sperimentazioni, ancora in corso, su gruppi di volontari anziani e pazienti affetti da malattia di Alzheimer; per tali studi si attende il completamento della valutazione dei risultati.
Complessivamente,
l’articolo di Hemachandra Reddy e colleghi evidenzia gli effetti benefici della
curcumina nella più grave demenza neurodegenerativa umana, specificamente sui
suoi modelli sperimentali, ma esprime anche una valutazione critica relativa ai
limiti di biodisponibilità[5] nel
cervello umano, sottolineando la necessità di sviluppare nuove formulazioni in grado
di accrescere i livelli cerebrali per un efficace impiego clinico.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle numerose recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] Un’antica descrizione della Curcuma longa fu fornita da Marco Polo: “Vi è anche un vegetale, che ha tutte le proprietà del vero zafferano, così come il colore, ma non è zafferano. [La curcuma] è tenuta in grande considerazione ed è un ingrediente in tutti i loro piatti.” (tratto dai viaggi in Cina nel XIII secolo).
[2] L’importanza culturale della curcuma in India è testimoniata dall’esistenza di cinque diversi vocaboli per denominare la spezia.
[3] Negli USA e in Canada l’uso della curcumina quale additivo alimentare è proibito.
[4] La Food and Drug Administration (FDA) la classifica fra le GRAS (Generally Recognized As Safe). Molte preparazioni in commercio sono in realtà a base di curcuma, che contiene solo il 2% di curcumina.
[5] Nelle preparazioni già in commercio, le associazioni intese ad aumentare la biodisponibilità sono spesso dannose e rimangono comunque inadeguate.